“...quis
custodiet ipsos custodes?”/ “...who watches the watchmen?”
-Decimo Giunio Giovenale (60-127 d.C), VI
Satira.
Sono
qui, seduto davanti al portatile, in un freddo giovedì di gennaio e
sto per iniziare, con molta difficoltà, a scrivere di Watchmen; il
suo valore a livello fumettistico (e anche letterario, dato che ha
vinto il premio Hugo
ed
è stato inserito nella classifica dei 100 migliori libri della
letteratura anglo-americana prodotta dal 1923 in poi del Times
) è immenso, così grande da schiacciare un povero stolto come me
che sta provando a farlo conoscere anche a persone che non toccano un
fumetto da anni, nemmeno per errore (mi dispiace deludere i
giappo-fag, ma anche i manga lo sono): esso, infatti, è uno dei
primi esponenti mainstream del medium
(pronunciato in Inglese, lingua tanto ostica per noi mangia
spaghetti: va bene ricordarsi che siamo figli di uno dei paesi da cui
ha avuto origine il mondo moderno, ma smettiamo di ancorarci al
passato e impariamo a vivere pensando anche al futuro!) in cui sono
stati esplorati gli usi, i costumi ed i valori della società del
tempo in cui venne pubblicato. E, se la società presa in esame è
quella dei primi anni '80, l'era dei “due
mondi” (Est e
Ovest) in cui i rapporti sociali sono mutati in modo indelebile e il
capitalismo e le tecnologie si sono evoluti ad una velocità
inimmaginabile, capirete bene che la questione diventa complicata.
Purtroppo, per scrivere questo articolo, sarò costretto a venir meno
ad un mio buon proposito, ovvero quello di evitare di prendermi
troppo sul serio (ma tranquilli, tenterò in tutti i modi di dire
qualche idiozia, giurin giurello) perchè, a differenza di quel che
dice Rorschach (non lo psicologo, ma lo psicopatico parte del
racconto), qui non c'è proprio niente da ridere.
È il 1985: gli U.S.A. hanno vinto la guerra del Vietnam, Nixon è riuscito ad abrogare il XII emendamento della costituzione statunitense (rimanendo in carica per cinque mandati) e, soprattutto, le tensioni presenti tra Stati Uniti e Unione Sovietica sono ormai al culmine e la paura dello scoppio di una guerra nucleare è parte della vita quotidiana. Ma un altro avvenimento inquietante sta avvenendo tra i grattacieli di New York: un comico (anzi, il Comico) è morto, e tutti i suoi ex-colleghi in calzamaglia potrebbero essere in pericolo.
La
storia ci viene narrata principalmente da due punti di vista: quello
dei vigilanti mascherati e del loro passato, e quello di un anziano
giornalaio e del suo giovane cliente. Nel primo, assisteremo alle
vicende di quelli che, più che “super” eroi, sono ormai reduci
di un tempo ormai passato, individui alla deriva mandati precocemente
in pensione a causa della scarsa fiducia nutrita (a ragione) nei loro
confronti. Individui che, dietro la maschera, sono comuni esseri
umani: escluso il Dottor Manhattan (l'unico personaggio di tutta
l'opera a possedere dei veri e propri poteri), la cui natura
immortale (forse divina?) lo ha reso quasi del tutto indifferente nei
confronti dell'umanità nonostante lui stesso ne sia stato un
esponente, i personaggi sono l'uno completamente diverso dall'altro
e, come ogni persona che si rispetti, possiedono anch'essi problemi,
interrogativi e sentimenti, e sono costituiti sia dal bene che dal
male, cosa notevolmente in contrasto con l'idea di super eroe
diffusasi con Superman dal 1938, macchietta moralmente perfetta che
sapeva sempre quale strada seguire.
Nel secondo, invece, oltre a fruire di un'azzeccata metafora delle due superpotenze, potremo osservare le persone che vivevano nella seconda metà del XX° secolo, periodo vissuto continuamente nel terrore dell'atomo dove l'evoluzione a livello tecnologico, comunicativo ed economico è stata estremamente rapida e, per alcuni, sconcertante. E sono proprio queste le cose che accomunano le due visioni, ovvero il modo in cui i loro protagonisti osservano continuamente il confronto tra il vecchio e il nuovo, i cambiamenti portati dai tempi e le loro reazioni a quest'ultimi, che erano tutt'altro che cose di poco conto: la convivenza e i rapporti fuori dal matrimonio, l'indipendenza e la concezione antiquata del genere femminile, gli uomini e le donne omosessuali che hanno scelto di dire basta ad una vita trascorsa nell'ombra per evitare di venire continuamente derisi e maltrattati da persone che (a parer mio) non sanno preoccuparsi di veri problemi e la stanchezza di vivere in una società razzista provata dalle persone con una pelle o una cultura madre diversa da quella media del paese dove risiedono in cui, probabilmente, sono nate. Per fortuna , o forse purtroppo, l'opera è tutt'oggi attuale (un po'come la parte finale di “Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino”, di Christiane F.) dato che buona parte dei valori criticati in essa sono tutt'oggi presenti, segno del fatto che l'uomo, a distanza di trent'anni, non è ancora riuscito a totalizzare quel numero di passi avanti a livello sociale che il nostro potenziale avrebbe potuto permetterci di compiere.
Nel secondo, invece, oltre a fruire di un'azzeccata metafora delle due superpotenze, potremo osservare le persone che vivevano nella seconda metà del XX° secolo, periodo vissuto continuamente nel terrore dell'atomo dove l'evoluzione a livello tecnologico, comunicativo ed economico è stata estremamente rapida e, per alcuni, sconcertante. E sono proprio queste le cose che accomunano le due visioni, ovvero il modo in cui i loro protagonisti osservano continuamente il confronto tra il vecchio e il nuovo, i cambiamenti portati dai tempi e le loro reazioni a quest'ultimi, che erano tutt'altro che cose di poco conto: la convivenza e i rapporti fuori dal matrimonio, l'indipendenza e la concezione antiquata del genere femminile, gli uomini e le donne omosessuali che hanno scelto di dire basta ad una vita trascorsa nell'ombra per evitare di venire continuamente derisi e maltrattati da persone che (a parer mio) non sanno preoccuparsi di veri problemi e la stanchezza di vivere in una società razzista provata dalle persone con una pelle o una cultura madre diversa da quella media del paese dove risiedono in cui, probabilmente, sono nate. Per fortuna , o forse purtroppo, l'opera è tutt'oggi attuale (un po'come la parte finale di “Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino”, di Christiane F.) dato che buona parte dei valori criticati in essa sono tutt'oggi presenti, segno del fatto che l'uomo, a distanza di trent'anni, non è ancora riuscito a totalizzare quel numero di passi avanti a livello sociale che il nostro potenziale avrebbe potuto permetterci di compiere.
Watchmen,
insomma, è stata una vera e propria opera di rottura a livello
generale, e anche la sua lettura si rivelerà essere un'esperienza tutt'altro che
banale: le tavole sono chiuse, molte vignette sono pregne di
riferimenti, i disegni sono statici e i colori prediligono toni
chiari e accesi, quasi onirici, proprio per rendere il ritmo di
lettura più lento del solito, in modo da dare al lettore il tempo di
riflettere ed interiorizzare l'esperienza che ha davanti agli occhi.
Alzo lo sguardo per un secondo, accorgendomi del fatto che sono le
due del giorno successivo, e che durante questa pagina e mezzo di OpenOffice potrei
essere stato capacissimo di annoiarvi e di sembrare una persona
pallosa ed eccessivamente seria (anzi, a prima vista lo sono,
ahahahah!), ma quella promessa da boy scout che ho fatto all'inizio
dell'articolo verrà sicuramente mantenuta in futuro e, chiedendo in
prestito da Manzoni le ultime due righe dei Promessi
Sposi (che ho odiato
anch'io, tranquilli, dopotutto sono un adolescente!), se fossi
riuscito ad annoiarvi, credetemi se vi dico che non l'ho fatto
apposta.